Durante la terza Conferenza Internazionale su Migrazione e Rifugio (ICoMiR 2025), tenutasi a Brasilia nel mese di maggio, abbiamo avuto l’opportunità di dialogare con una delle figure più autorevoli nel campo della difesa dei diritti umani in Brasile: Suor Rosita Milesi, missionaria scalabriniana, direttrice dell’Istituto Migrazioni e Diritti Umani (IMDH), consigliera della Fondazione Scalabriniana e recente vincitrice del prestigioso Premio Nansen dell’UNHCR. Buona lettura…
Intervista a Suor Rosita Milesi, mscs
- Il Brasile è stato un paese di accoglienza per diversi gruppi di migranti e rifugiati. Quali sono, secondo lei, le principali sfide affrontate attualmente dalle persone migranti nel paese?
“Anche se nel nostro paese sono stati fatti dei progressi dal punto di vista della tutela legale, considerando una Legge sull’Immigrazione fondata sui diritti umani e che garantisce il diritto di migrare, vedo che i migranti affrontano molte sfide. La mancanza di spazi di accoglienza all’arrivo, la burocrazia per ottenere i documenti, la difficoltà di accesso al mercato del lavoro e ai servizi pubblici e, purtroppo, la xenofobia e la discriminazione, sono ancora barriere, per non dire muri, molto presenti. Le persone arrivano con la speranza di trovare rifugio, di ricostruire le proprie vite, ma si trovano di fronte a una quotidianità fatta di esclusioni. Credo che abbiamo bisogno di più politiche pubbliche e che siano realmente efficaci, che garantiscano soprattutto formazione, accesso al lavoro e alla casa e reali opportunità di inserimento sociale. L’accoglienza deve essere più di un gesto momentaneo: deve essere un impegno con la dignità umana.”
- Quali esperienze o storie di vita l’hanno maggiormente segnata nel suo percorso di accoglienza e difesa dei diritti dei migranti?
“Sono tante le storie di vita che hanno segnato il mio percorso missionario… Ricordo un rifugiato che è fuggito dalla persecuzione e dall’estremismo nel suo paese, dove la popolazione viveva sotto la minaccia di uomini armati agli angoli delle strade e nei punti strategici di controllo… Gli chiesi come si sentisse in Brasile, pur non conoscendo ancora la lingua, senza lavoro, in una situazione di grande vulnerabilità… E lui mi rispose prontamente: “Sono felice, perché solo il fatto di non essere sotto la minaccia di armi che in qualsiasi momento potrebbero togliermi la vita, è motivo sufficiente per ringraziare Dio di essere qui. Il Brasile per me è la speranza di vivere in pace”.
- Come si è evoluta l’azione dell’Istituto Migrazioni e Diritti Umani (IMDH) di fronte ai nuovi flussi migratori, in particolare di venezuelani e haitiani?
“L’IMDH si è costantemente reinventato per rispondere alle nuove sfide. L’assistenza giuridica e documentale resta il nostro punto di forza, ma con l’arrivo massiccio di haitiani (soprattutto negli anni 2011, 2012, 2013 e successivi) e di venezuelani (2017, 2018, 2019 e tuttora), abbiamo ampliato i nostri servizi sociali e umanitari. Abbiamo creato metodi di assistenza a distanza, per facilitare alle persone l’ottenimento di orientamenti, la preparazione di richieste di autorizzazione di residenza e altre pratiche nei servizi pubblici. Collaboriamo con nuovi attori della società civile, con organismi internazionali e con le autorità pubbliche, per garantire una risposta più efficace. Il nostro lavoro parte sempre dall’ascolto sensibile, dal rispetto delle culture e dalla promozione dell’autonomia dei migranti. Ogni passo compiuto è uno sforzo collettivo per rafforzare un’accoglienza dignitosa e l’integrazione effettiva di queste persone nella società.”
- Il Brasile ospiterà la COP30 nel 2025, un evento centrale per il dibattito climatico globale. Come vede la relazione tra cambiamenti climatici e migrazione forzata nel contesto brasiliano?
“La questione climatica è una delle maggiori, se non la principale, causa di spostamenti forzati attualmente – e questo fenomeno si sta intensificando. In Brasile, comunità indigene, ribeirinhas e persino diverse regioni del paese che da anni non si vedevano colpite da piogge distruttive e intemperie stanno affrontando gli impatti dei cambiamenti climatici: alluvioni, siccità prolungate, degrado ambientale. Queste situazioni obbligano molte famiglie a migrare per sopravvivere. È urgente riconoscere la migrazione climatica come una realtà e dare un nome a queste situazioni: sono persone costrette a lasciare le proprie case per fattori ambientali. La COP30 è una grande opportunità per il Brasile di assumere un ruolo di leadership in questo dibattito, unendo giustizia sociale e giustizia ambientale. Insieme all’UNHCR, stiamo sviluppando un progetto in questo senso, che mira a promuovere maggiore consapevolezza e mobilitazione riguardo agli spostamenti forzati dovuti ai cambiamenti climatici. Presto potremo fornire maggiori dettagli. Speriamo vivamente di trovare eco soprattutto tra i giovani, sempre entusiasti e creativi, per vedere l’attuazione di misure e azioni volte a minimizzare il degrado ambientale e i cambiamenti climatici che stanno provocando conseguenze così gravi nella vita di migliaia e migliaia di persone.”
- Secondo lei, quali misure potrebbero essere adottate per rafforzare sia l’integrazione dei migranti sia la protezione dei cosiddetti “rifugiati climatici”?
“ Nel caso dei “rifugiati climatici”, è urgente che il Brasile e altri paesi riconoscano questa forma di migrazione forzata e creino meccanismi di protezione giuridica. Inoltre, dobbiamo promuovere campagne di sensibilizzazione e preparare le nostre strutture sociali ad accogliere con dignità. L’integrazione è possibile solo quando c’è un impegno collettivo per il bene comune. Il progetto di cui ho parlato nella risposta precedente è una risposta, nei limiti delle nostre possibilità, a queste questioni.”
- Ha appena ricevuto il Premio Nansen dell’UNHCR, un riconoscimento internazionale per il suo lavoro. Cosa rappresenta questo premio per lei e per la causa migratoria in Brasile?
“ Ricevere il Premio Nansen è un grandissimo onore, ma anche una chiamata alla responsabilità. Non vedo questo premio come qualcosa di personale, ma come un riconoscimento al lavoro collettivo di tanti che operano nella difesa delle persone migranti e rifugiate. Porta visibilità a una causa che spesso è invisibile. Rappresenta anche una speranza: che più persone e istituzioni si uniscano in questa missione di accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Per me, è uno stimolo rinnovato a continuare, con fede, coraggio e amore.”
- Che messaggio vorrebbe lasciare alla società brasiliana e internazionale sul valore dell’accoglienza, della solidarietà e del rispetto della dignità umana?
“ Accogliere è più che aprire una porta: è aprire il cuore. È riconoscere nell’altro la stessa umanità che ci abita. Vorrei dire alla società, brasiliana e internazionale, che la solidarietà non è un favore, ma un dovere etico. Nessuna persona lascia il proprio paese senza dolore, senza perdite. Quando accogliamo qualcuno che è migrato forzatamente, stiamo dicendo: “tu hai valore, tu appartieni”. Il mondo ha urgentemente bisogno di più empatia, più ponti e meno muri. Sarà un’utopia, ma è proprio l’utopia che mantiene bello l’orizzonte del nostro agire, per dire: “Che possiamo costruire insieme una società in cui tutti siano visti con rispetto e dignità”.
Cristopher Montenegro
Fondazione Scalabriniana
Ufficio Comunicazione
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